Passeggiata letteraria di Olivia Sudjic e Tiziana D’Oppido, martedì 5 novembre 2019

Passeggiata letteraria di Olivia Sudjic e Tiziana D’Oppido sul filo del ricordo fra Alice carrolliana, riferimenti escheriani e creatività

di Tiziana D’Oppido

 

Scrivo queste righe mentre sono sull’aereo che mi porta a Berlino, da dove comincerà il tour europeo del mio romanzo. Da quassù Matera, la mia città, è lontana, e lo è anche Londra, la città di Olivia Sudjic. Lontane nello spazio e nel tempo. Chissà dov’è Olivia in questo momento. Riguardo le foto di pochi giorni fa, quelle della nostra passeggiata letteraria, e riaffiorano ricordi ed emozioni vivide e senza filtro, a cui cerco a dare una forma mentre sono qui, immersa tra le nuvole.

Io e Olivia ci conosciamo e ci incontriamo a Matera, in Piazza Vittorio Veneto, in una calda mattinata settembrina. Ci siamo io, lei, Alison e Becky, che rispettivamente per il British Council e per il WFF hanno organizzato il nostro incontro. Sono presenti anche studenti che fotograferanno e registreranno l’evento. Olivia scardina subito i luoghi comuni ordinando un ristretto al bar “Gran Caffè” (caso vuole che io, invece, beva sempre caffè all’inglese); uno scambio di battute con i briosi studenti e poi si parte.

Scendiamo le scale di pietra che da via Lombardi, in pieno centro storico, ci portano nei Sassi, gli ormai famosi rioni antichi di Matera, patrimonio UNESCO e Capitale Europea della Cultura 2019. Una discesa che, settant’anni fa, lo scrittore Carlo Levi aveva paragonato a quella verso i gironi infernali di Dante. Molto è cambiato da allora ma il primo colpo d’occhio resta mozzafiato.

È la prima volta che Olivia viene a Matera; aveva già raccolto informazioni sulla città ma, quando lo scenario dei Sassi si apre davanti ai suoi occhi, lo stupore si fa largo nei lineamenti del suo viso. Cammineremo per qualche chilometro sulle pietre dei Sassi, in gruppo eppure sole, perse nei nostri discorsi, fotografando scorci e scene di vita quotidiana. Dopo giorni di cielo coperto e forte vento, il maltempo ci ha dato una tregua. La giornata è piacevole e siamo baciate da un caldo sole settembrino.

Ho deciso di narrare quest’incontro per gradini, come quelli a imbuto rovesciato dei Sassi, percorrendoli uno alla volta, in discesa e in salita, fino a uscirne.

Sassi. Nel senso di quartiere e anche di massi, rocce, pietre, di un bianco accecante per il riverbero del sole. Tra i Sassi abbiamo camminato per più di un’ora, girandoli in lungo e in largo, dal Barisano al Caveoso.

Mostro a Olivia le strade e i vicoli, le racconto dell’importanza del “vicinato” per i materani che abitavano qui prima dello sfollamento realizzato per effetto della legge De Gasperi negli anni Cinquanta, e di quanta sofferenza c’era in quelle anguste abitazioni, sia quando i cittadini ci vivevano sia quando hanno dovuto abbandonarle per trasferirsi in nuovi quartieri per decisione dello Stato. Le indico le case ristrutturate, gli alberghi di tufo, i ristoranti nelle grotte, e le spiego come oggi abitare nei Sassi sia invece diventato quasi un lusso, una spesa inaccessibile per le tasche di molti.

Lo sguardo di Olivia si muove vivace sulle tipiche costruzioni di mattoni addossate le une sulle altre. Sorride e mi dice che le ricordano Escher, che nelle sue opere faceva scomparire le forze gravitazionali trasformando ambiente e personaggi in un’architettura naturale che ricorda l’audacia e l’ingegno dei materani che si sono avvicendati per secoli negli antichi rioni, peculiari per i rapporti tra vuoto e pieno, tra l’architettura e il suo negato. Da quel momento in poi ci divertiremo a cercare sul nostro percorso tetti, muretti e scalinate “alla Escher”. Trovandone tantissimi.

Oggetti. Sì, oggetti, proprio oggetti, cose, “things”, intesi nella loro accezione più vasta, da quelli d’uso quotidiano a quelli di maggior pregio secondo il percepire comune. Racconto a Olivia della zia di mia madre, vissuta fino all’età di 98 anni, che non buttava via niente, riutilizzava la carta, il metallo e la plastica fino alla loro totale usura. Ricordo ancora come stringesse fra le dita callose tre pomodori, una manciata di noci, un pugno di basilico, come li posasse sul tavolo, orgogliosa e regale, e li infilasse con cura in un sacchetto sfilacciato e bellissimo per farcene dono. Olivia annuisce e mi sorprende dicendomi anche sua nonna, a duemila chilometri lontana da mia zia, in piena Londra, si comportava nello stesso identico modo. Ci rendiamo conto della bellezza di quei gesti e di come gli sprechi siano un grave danno per l’ambiente ma anche per noi perché tolgono valore a ogni singolo oggetto impedendoci di goderne.

Traduzione. Quella letteraria. Il discorso è partito dal titolo del suo romanzo, “Sympathy”, che in italiano è diventato “Una vita non mia” (edito da Minimum Fax). Olivia mi dice che il titolo italiano non le dispiace e che d’istinto si rende conto che tradurre alla lettera quello inglese non avrebbe funzionato. Discutiamo a fondo di traduzione, di localizzazione, di transcreazione e di come la scelta di un titolo, di una copertina e di una biografia in Paesi diversi dal proprio possa a volte decretare la fortuna o l’insuccesso di un romanzo.

Esordi. L’esordio letterario di Olivia, col suo “Sympathy”, edito da Houghton Mifflin Harcourt e il mio con “Il narratore di verità” edito da Liberaria (il suo ad aprile, il mio a novembre) sono stati entrambi fortunati, hanno avuto e continuano ad avere un successo per certi versi inaspettato. Io e Olivia, però, non veniamo dalla luna e, per formazione e lavoro, non siamo nuove né alla scrittura creativa né al mondo editoriale, di cui conosciamo dinamiche e funzionamento. Entrambe poi abbiamo un agente. L’incontro fra Olivia e la sua agente è stato quasi fortuito e ha dato la stura alla composizione del romanzo. L’incontro col mio agente è stato invece conseguenza di un premio letterario a cui avevo partecipato col manoscritto, e che mai nella vita avrei pensato di vincere. La vittoria, e le motivazioni addotte a suo tempo dalla giuria, mi hanno dato fiducia e consapevolezza nelle mie potenzialità avviando un processo che a volte è talmente trascinante e vorticoso da rischiare di portarmi via con sé.

Solitudine. Quella del nostro mestiere. Romanziera e saggista Olivia, romanziera e traduttrice io: sono mestieri solitari. La creatività è mistero, necessita di silenzio, di meditazione, di distrazione, di decantazione. Durante il processo creativo, io e Olivia avvertiamo l’esigenza di stare da sole, anche se non necessariamente nello studio di casa. Anzi, credo Olivia mi abbia raccontato che scrive bene ovunque tranne che seduta alla scrivania. È lo stesso per me. Ho scritto gran parte del mio primo romanzo seduta su uno spuntone a strapiombo sulla gravina, un profondo canyon di origine carsica tipico delle nostri parti, che si trova dietro la Madonna dell’Idris, quell’enorme roccia ficcata nella terra che – come spiego a Olivia indicandogliela – è in realtà una chiesa rupestre. A Londra, invece, città che adoro e che frequento spesso, ho fatto ricerche e scritto gran parte del mio secondo romanzo, alla British Library e nel foyer di teatri come il Donmar, il Noël Coward, il Barbican. Chissà dove Olivia avrà scritto “Sympathy” ed “Exposure”, il suo secondo romanzo. Mi sono dimenticata di chiederglielo e sono sicura che la sua risposta mi avrebbe colpito.

Alice. Sono molte le allusioni all’Alice di Lewis Carroll nel romanzo di Olivia, a partire dal nome della protagonista, che si chiama Alice, appunto. E “Alice nel Paese delle Meraviglie” è l’unico libro recuperato a casa di Sara, la protagonista del mio romanzo, dopo una tremenda alluvione. Il libro è in una pozzanghera, dettaglio non casuale, in quanto riflesso di se stesso e rimando all’opera “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò”. Ho trovato curioso notare come la stessa Alice carrolliana abbia ispirato e influenzato sia me che Olivia nella stesura di due opere per il resto molto diverse tra loro.

Pragmaticità. D’accordo, il processo creativo richiede solitudine e silenzio ma io e Olivia siamo due donne e due scrittrici degli anni duemilaventi. Non potevamo quindi non parlare dell’influenza dei social (che utilizziamo entrambe) sulla letteratura di oggi, di brainstorming fra scrittori, di Festival, seminari, corsi e laboratori. Olivia mi ha citato l’UEA e così abbiamo parlato anche di scuole di scrittura creativa, che nessuna di noi due ha frequentato, ma che sicuramente presentano vantaggi e sono un’ottima porta d’ingresso nel mondo letterario.

Futuro. Il futuro è l’ultimo dei gradini di questa narrazione che Alison mi chiede gentilmente di preparare al termine di quest’intensa passeggiata. Olivia sta scrivendo un saggio. Io sto lavorando a una sceneggiatura teatrale e al mio prossimo romanzo oltre a essere, come sempre, immersa nella traduzione di libri altrui.

Le parole sono quindi il nostro presente e saranno al centro anche del nostro futuro, che mi auguro sia ricco di soddisfazioni per entrambe. E tante, tantissime sono le parole pronunciate da me e da Olivia nel corso della nostra passeggiata letteraria. Una scrittrice di Londra, una di Matera, due lingue e due culture diverse, e due mondi lontani su cui ci siamo confrontate, mettendoci a nudo e scoprendoci più simili di quanto immaginavamo. Simili anche nelle diversità.